Del Capodanno a Milano si continua a parlare – anche giustamente – per la violenza di assoluta gravità che si è consumata a danno di un gruppo di ragazze.
È stata violenza. È stata violenza sessuale. È stata causata da un gruppo di maschi (cioè esseri umani dotati di caratteristiche maschili). Ed è stata causata contro delle giovani donne.
Nulla di nuovo potrei dire cinicamente.
Sono secoli, da che il mondo è mondo, che le donne subiscono la qualunque dagli uomini (cioè sempre quelli di cui sopra). Vessazioni, violenza, stupri, aggressioni, omicidi, imbavagliamento, umiliazione, dominazione, ecc. Sono anni che le donne subiscono aggressioni per strada da sconosciuti: la mano morta, il palpeggiamento, la volgarità espressa a parole, ecc.
E, generalmente, queste aggressioni avvengono quando il maschio si sente più sicuro. Cioè quando è solo e non ci sono testimoni, oppure, da grande vigliacco, quando è con i suoi simili e si sente più forte. E in generale, il maschio lo fa per un radicato senso di impunità.
Questo esiste, ovunque. Ed è commesso dagli uomini.
Poi, quando succede, partono le ricostruzioni e, sempre, il tentativo di catalogare l’aggressore.
Da qualche anno, esiste proprio una procedura precisissima che viene rispettata da tutti. Dalla politica e dai media. Il primo step è suddividere l’accaduto in due cluster: il maschio era italiano oppure il maschio era straniero.
Ora, cinicamente, potremmo dire “speriamo sia italiano così la sbrighiamo in poco tempo”. Gesto goliardico, è un papà, è un brav’uomo, salutava sempre, ha sempre rispettato le donne. Se poi riusciamo a strappare alla moglie o alla mamma una dichiarazione, finisce tutto lì. E “chissenefrega” se nessuno parla più della donna che ha subito umiliazioni, molestie, violenze ecc. è un dettaglio. E finisce lì l’accaduto.
Ma se, malauguratamente, questa violenza venisse causata da uno straniero (e non state lì a pensare straniero straniero oppure italiano di origine straniera. So’ dettagli, suvvia!), allora si aprono le porte e si lascia entrare il solito tsunami di cliché, di stereotipi, di luoghi comuni, di banalità: è la loro natura, a casa loro non rispettano le donne, fa parte della loro cultura, animali, giù le mani dalle nostre donne e così via… e se sono italiani naturalizzati, allora si distrugge il valore stesso della naturalizzazione allontanando così ogni possibilità di discutere dello Ius Soli.
Negli ultimi giorni, su un giornale che si definirebbe “progressista”, ovvero La Repubblica, abbiamo letto un titolo vergognoso. “Quei manovali di periferia a caccia di una notte da padroni”. Un’espressione classista che riflette il livello della classe dirigente dei nostri tempi che attribuisce uno stigma a chi non fa parte della classe dirigente stessa. La procedura continua quindi e, superata la prima fase con i due cluster e trovandosi nella seconda categoria, ovvero quella dello straniero, si apre in altri mille scenari. Il primo è la classe sociale. Il manovale, il poco istruito, il poraccio. Anche qui ci si dimentica, come sempre, della cosa più importante ovvero della violenza o della donna che ha subito, non più il patriarcato e la violenza, bensì la classe sociale oltre che la provenienza.
Ma La Repubblica si supera e mi scomoda, niente popò di meno che il Signor Lorenzo Vidino. E voi mi direte “e chi è?”. Avete ragione. Anche io l’ho pensato. E allora niente, basta googlare e si trova. Il Signor Vidino è Direttore del programma sull’estremismo della George Washington University. Esperto di islamismo in Europa e Nord America che ha concentrato gli ultimi anni nella ricerca sulle dinamiche di mobilitazione delle reti jihadiste. Un curriculum di tutto rispetto (e non lo dico ironicamente). Ma mi chiedo, perché scomodare un esperto di jihad per capire le aggressioni di gruppo sulle donne? Perché gli aggressori sono stranieri? Perché sono manovali? Perché provengono dalle periferie? Che legame c’è tra le aggressioni a Capodanno sulle ragazze e il jihad islamico?
Leggendo l’articolo (che allego per comodità). “Gli indagati sono in maggioranza ragazzi di origine nordafricana ma nati o cresciuti nel nostro paese, sociologicamente italianissimi. Prova che, se in molti casi l’integrazione funziona, esistono sacche di disagio personale e/o sociale tra le seconde generazioni in cui fa presa una sottocultura che sposa, spesso in maniera confusa, identità arabo/islamica, mitizzazione della criminalità e maschilismo”.
Cioè secondo il ricercatore, esistono sacche di disagio e qui siamo tutti d’accordo – aggiungerei che l’etnia e la religione non c’entrano perché non pensate che nelle periferie ci vivano solo stranieri (basti pensare a Scampia) – ma lui parla delle seconde generazioni in cui fa presa una sottocultura arabo/islamica di mitizzazione della criminalità. Ma se parlassimo invece della mitizzazione della criminalità e maschilismo tout court? Non sarebbe meglio per affrontare prima di tutto il tema della violenza in generale e quella sulle donne in particolare?
Le “700 zones urbaines sensibles” di cui parla l’autore sono figlie di decenni di errori in termini di politica interna, di politica urbanistica, di politica sociale, di educazione nazionale, di accoglienza, di immigrazione e di inclusione.
Il tema delle periferie è un tema che fior fior di sociologi discutono e studiano da decenni. Più di 30 anni fa, i sociologi francesi, per l’appunto, mettevano in guardia la politica sul tema degli HLM e del rischio di ghettizzazione nelle banlieues. Mettevano in guardia la politica – in particolare la sinistra – per il suo lassismo e la sua totale indifferenza nell’affrontare un problema che era ancora latente ed embrionale: il tema dell’inclusione (o dell’integrazione). Chiedevano alla politica di intervenire sul nascere della delinquenza e la sinistra non ha mai voluto farlo per paura di essere accusati di essere di destra e per non perdere i consensi.
L’assenza di prospettiva lavorativa o di futuro porta rabbia. Le periferie sono abbandonate e sono l’ambiente perfetto per favorire l’esplosione. E sono esplose. Ovunque in Europa. Era iniziato negli USA con i vari Bronx dove ghettizzavano i neri. E continua in Europa con altri popoli. Attribuire la violenza alla provenienza geografica perché, secondo alcuni, lì non c’è cultura è una cosa degna della peggior destra. In America sono i neri o i latinos, qui sono i magrebini. Certo, è più facile dire che loro sono così e noi siamo migliori. È molto più facile.
Cosa ha fatto la politica esattamente per far integrare (includere) quei popoli che noi occidentali abbiamo colonizzato per secoli, vessato, umiliato, derubato delle loro risorse, portato in Europa perché servivano schiavi per le miniere di carbone come in Belgio o per la manodopera nel resto del continente? Cosa ha fatto la politica nel suo agire? Ha mai pensato di modificare queste politiche devastanti prive di investimenti volti a costruire un futuro? Ha mai pensato ad un sistema di educazione nazionale che ricompensasse i migliori docenti per convincerli ad andare nelle periferie e dare un’occasione a quei ragazzi? Ha dato a queste comunità dei luoghi di culto invece di umiliarli costringendoli nel sottoscala sporco per la loro preghiera? Ha considerato una ricchezza la loro diversità? Ha mai pensato che “integrazione” implicasse due azioni: inserimento da parte loro ed accettazione da parte degli occidentali? Ha pensato ad uno sviluppo sostenibile, dove il termine sostenibilità non riguarda solo quella roba da fighetti, ma azioni sostenibili dal punto di vista sociale ed ambientale che contribuissero a creare soluzioni vivibili e di qualità? Ha mai pensato alla scala sociale? Che quella gente lì nelle periferie (cittadini autoctoni e non) avrà figli che resteranno lì perché la qualità delle scuole è scadente, perché vivono in luoghi scadenti, perché sono poveri? Ha mai pensato che lì, in mezzo alla melma, ci sono migliaia di persone per bene (stranieri e non) che lavorano e cercano di arrivare onestamente alla fine del mese? Ha mai pensato quanto male potessero fare le nostre parole su quelle migliaia di persone oneste? Fare come la destra e dare l’origine del molestatore o delinquente non fa altro che alimentare la destra ed umiliare coloro che non c’entrano.
Abbiamo mai pensato, quando diciamo “italiano di origine magrebina” che queste definizioni tolgono valore alla naturalizzazione stessa, facciamo in modo che queste persone non si sentano perfettamente italiane (e lo dico da naturalizzata) e contribuiamo implicitamente ad allontanare la discussione imperativa che dobbiamo fare sul tema dello Ius Soli?
Allora io prendo questo articolo e lo ribalto. Lo ribalto perché provengo da un paese che ha subito prima e affrontato poi il tema del Jihad estremista, il terrorismo. Lo ribalto perché conosco la realtà francese e so che le dinamiche seguono delle leggi fisiche – e logiche – precisissime. Una Scienza esatta. Perché ogni reazione risponde ad un’azione precisa.
Invece di analizzare con fior fior di professori il jihad islamista, invece di dire “non sono milanesi. Sono manovali di provincia”, cercare di capire perché i peggiori estremismi (Casapound, Forza Nuova, Alba Dorata, Zemmour, Le Pen, Lega, Fratelli d’Italia, l’estremismo islamista, la mafia, la camorra, e così via) proliferano proprio lì.
È l’assenza di visione politica che crea i ghetti e nei ghetti prolifera l’estremismo che, come ogni sciacallo, si nutre di un corpo moribondo o morto. È proprio lì, dove muoiono le speranze, i sogni, che gli estremismi politici, religiosi e malavitosi trovano più nutrimento per la loro di strategia. L’assenza di una visione politica, di una precisa strategia politica sociale progressista è inversamente proporzionale a quella precisa degli estremisti. Noi non ce l’abbiamo e non abbiamo il coraggio di affrontare i nostri errori. Loro ce l’hanno e vanno a colpire proprio lì sui nostri errori.
Non è per colpa del jihad che ci sono aggressioni sulle donne. E sdoganare questa lettura, questa narrazione, va nella direzione dell’assenza stessa di volontà di affrontare il tema economico-sociale delle periferie. Il Jihad non ha come obbiettivo di andare a palpeggiare le donne, ma ha obiettivi molto più trasversali e di portata nazionali. Ma se proprio vogliamo parlare di Jihad e di malavita, e allora possiamo dire che essi esistono per la totale assenza della politica e che le azioni di contrasto sono lasciate in mano alle associazioni, al terzo settore e ai volontari.
E comunque, come sempre, tutte queste tesi strampalate: non è violenza sessuale, sono stranieri, sono manovali, è il jihad islamista, riescono nel miracolo quotidiano di togliere i riflettori sul tema della violenza sulle donne per portarli altrove.
Come sempre, non si mette al centro la donna, le violenze e le umiliazioni che subisce ogni giorno. Come sempre si scivola via via e molto rapidamente su altri piani, o per far dimenticare il caso (se sono italiani) o aprire di nuovo il temone dell’immigrazione come origine di ogni male.
Continuando così, non si risolverà mai, dalla radice, l’aspetto culturale di un patriarcato che impregna tutta la società.
Più di quanto si possa pensare o immaginare.
“Amici miei, tenete a mente questo: non ci sono né cattive erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori.” (Victor Hugo – I Miserabili)