Ho aspettato un po’ prima di scrivere un mio pensiero per Agitu Gudeta. Perché volevo che fosse bello, che fosse all’altezza di quello che lei è stata e quello che ha dimostrato. Non volevo sporcare la sua immagine con alcuni miei pensieri rancorosi. Ma non ce la faccio. Non sono all’altezza di Agitu e quindi.
Agitu ha dimostrato al mondo intero e ai benpensanti della destra cosa significa lottare, lavorare, raggiungere un obiettivo, integrarsi e amare il prossimo. Agitu ha dimostrato cosa significa resistere e sfidare la sorte per anni. Una sorte che si è accanita da sempre e che ha trovato in Agitu un osso duro.
Agitu, etiope di 42 anni, ha sfidato la violenza. Sempre e ovunque. Nel suo paese di origine e nel suo paese di adozione. Ma ha sempre dimostrato la volontà di volercela fare e lo ha fatto con il sorriso. Un sorriso che porta via. Ma un sorriso che da anche fastidio. È diventata un simbolo e si sa, agli uomini ma anche a certe femministe della domenica che tanto si indignano per le bianche uccise ma che tacciono per le altre, i simboli irritano.
Irritano perché le Agitu, Fatima, Noura, Khadidja saranno sempre delle straniere anche se dimostrano più delle altre la loro forza. Perché alle donne straniere si chiede il doppio dello sforzo che una autoctona deve dimostrare, il doppio del lavoro, la doppia lotta. E lei, Agitu, lo ha fatto. Ha fondato un’azienda ed era lei il Boss. La “capra felice” era il risultato di tanta fatica e determinazione. Undici ettari e ottanta capre di successo e di felicità in Trentino.
Ha subito violenze razziali, attacchi, la chiamavano “sporca negra”, le hanno ammazzato delle capre, era vittima di stalking. Non ha avuto paura perché una donna che combatte fin dalla sua giovane età per migliorare le sue condizioni, non può aver paura di una manciata di omuncoli con la smania testosteronica di fare i bulli. Mai. Ha denunciato e c’è stata una condanna ma non per stalking. Come sempre, perché questo, a casa nostra, si fa fatica a farlo. Condannare per stalking chi decide di rovinarci l’esistenza è sempre così complicato.
Alla fine, viene uccisa. Ammazzata con una barbarie inaudita e una violenza viene commessa anche sul suo corpo morente. Come a voler sfregiare anche una Agitu Morta.
Questo omicidio racchiude anni di violenza e soprusi compiuti contro di lei come per confermare che ciò che il destino decide per te, avviene. Ma ciò che nessuno può cancellare è la costante volontà di mandare al diavolo un destino bastardo. La determinazione di non arrendersi. Mai.
La storia straziante di Agitu, conclusasi con un omicidio, mi ha colpita. Ma mi colpisce soprattutto la reazione. Tra quelli che “per fortuna non è razzismo”, a quelli che “non strumentalizzate politicamente”. Da “e con tutte le italiane che vengono uccise” a “è stato un rifugiato ad ammazzarla”. Passando per il silenzio.
Agitu non fu uccisa da un migrante. Agitu non fu vittima di razzismo per anni da un bianco italico. Agitu è ed è sempre stata vittima degli uomini, bianchi o neri, semplicemente perché è donna e lo ha dimostrato in tutta la sua bellezza. E quindi Si, c’è da dare un senso anche politico a questo omicidio. Perché nel nostro paese, che le donne siano bianche o nere, la violenza a sfondo razzista o no, contro di loro è inaccettabile e non è degno di un paese occidentale. Perché è sessismo.
Riposa In Pace bella Agitu.
“La violenza sessuale, razziale, di genere e altre forme di discriminazione e violenza in una cultura non possono essere eliminate senza cambiare cultura.” – Charlotte Bunch