La forma – partito è sempre stato un tema politico molto discusso già dai tempi di Veltroni, che aveva tentato, fondando il PD, di introdurre questo concetto in linea con quella che era la metamorfosi della società. Ma il Partito non ha subito nessuna mutazione strutturale. La resistenza al cambiamento, tipica dell’essere umano, ha umanizzato anche il partito che è rimasto solido e verticale. Un partito fatto di materiale super-duro e quindi non adattabile ai grandi cambiamenti epocali della nostra società, cedendo così il passo e lo spazio ad altri soggetti.
La rigidità della struttura, che causa l’incapacità di capire e rispondere proattivamente ai cambiamenti, è una delle ragioni per cui il PD non riesce a trovare una propria identità. I governi costruiti con delle agglomerazioni neocentriste, pur lavorando per obiettivi e su linee programmatiche, non sono stati in grado di affrontare le crisi sociali, le “vite minuscole” come le chiama Aldo Bonomi. Hanno affrontato, giustamente, la crisi economica ma hanno perso di vista il radicamento territoriale. L’incapacità di raggiungere, in maniera capillare, i cittadini è un chiaro sintomo della necessita di rinnovare il sistema delle sezioni locali. La doccia ghiacciata delle elezioni del 4 Marzo in cui il consenso elettorale è disastrosamente crollato dal 40 al 18% dovrebbe farci riflettere.
I circoli, dunque, devono cambiare abito e ambito, tornare a rispondere allo smarrimento dei cittadini e allontanarli dal populismo, recuperare l’empatia perduta, identificarsi con i più fragili, adattarsi alla società che non è più una stratificazione di classi sociali, ma una moltitudine di persone dalle mille sfaccettature. Le persone sono classe sociale, genere, etnia, provenienza, idea politica, orientamento sessuale, religione.
Il Partito deve ripensare alla sua forma per diventare contemporaneo, flessibile ed in grado di osservare la società, di elaborare strategie adattive e proattive rispetto al sistema di riferimento; rispetto ad una realtà in continua evoluzione. Non deve soltanto comprendere il cambiamento ma deve essere capace di anticiparlo. Questo, però, senza venir meno ai suoi valori fondanti. Un nucleo rigido ed una forma flessibile quindi mutabile. Per farlo, ci vogliono organizzazione (molta), idee (molte) e buona volontà (moltissima).
Le persone non aderiscono al nulla o per pura ideologia. Il PD deve essere in grado di esprimere un’identità propria: sociale, europeista, riformista, ambientalista ed egualitaria. Deve avere il coraggio di proporre innovazione, tecnologia, formazione, educazione, ma anche lavoro, giustizia ed equità, diritti civili e sociali. Deve ricostruire un sistema di valori politici ed etici. Bisogna, quindi, essere consapevoli, avere coraggio di cambiare, umiltà nell’ammettere gli errori e onestà intellettuale nel valorizzare le riforme positive che sono state fatte.
Il PD deve avviare un processo di innovazione politica, senza inseguire per forza un modello specifico ma avere metodo e coraggio. I circoli devono diventare delle articolazioni periferiche in contatto con il mondo che li circonda, luoghi aperti e democratici, snodi di riflessioni e attrazione di idee, progetti, in grado di contribuire alla scrittura di un manifesto. Un network tematico che lavori con e per i circoli, che permetta di costruire una classe dirigente suddivisa per argomenti e competenze. I circoli diventano così l’elemento costituente di una nuova forma partito e non un’idea imposta dall’alto e mal percepita che obbliga a continuare, imperterriti a proporre temi e discussioni autoreferenziali, vecchi, obsoleti
Infine, non si può parlare di forma partito senza affrontare il tema “leadership”. Per cambiare, ci vuole un leader carismatico o una leadership plurale? La leadership carismatica è sicuramente d’impatto ma il rischio, e lo abbiamo visto, è l’appiattimento del pensiero e della critica, l’erosione della classe dirigente, la suddivisione tra sudditi e dissidenti. Ad un partito flessibile è più adatta una leadership in grado di unire il network, di crederci, promuoverlo e farlo funzionare. Il leader deve essere in grado di far coincidere Partito e Network, di farlo vivere attraverso un rapporto diretto con gli iscritti e una nuova democrazia diffusa. Il leader deve essere trasversale e essere in grado di rappresentare tutta la società, deve essere in grado di connettere il network e di attrarre i cittadini.
Il PD deve mettersi in discussione senza distruggere. La discontinuità per tornare al passato non è modernità. La modernità, il riformismo (che non si misura con la sua liturgia ma con la fiducia degli individui), è inventare un modello nuovo, adatto al nostro paese, al nostro periodo ma con la flessibilità di adattarsi alle esigenze della società.
“Conosco delle barche che si dimenticano di partire, hanno paura del mare a furia di invecchiare.” (Jacques Brel)