La generale frustrazione dei molti nei confronti degli esiti della COP26 di Glasgow dimostra che tutti hanno preso coscienza che l’attuale trend seguito dal settore dell’energia, responsabile di quasi tre quarti delle emissioni inquinanti, non sia in linea con quanto sarebbe necessario per stabilizzare l’aumento della temperatura a 1,5 °C e per raggiungere gli altri obiettivi delle Nazioni Unite (SDGs). In base alle stime dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), nel 2021 si registrerà il secondo maggiore incremento annuo di emissioni di CO2 della storia, prevalentemente per l’aumento dell’utilizzo dei combustibili fossili (carbone e petrolio) e nonostante la crescente diffusione delle fonti rinnovabili e della mobilità elettrica.
Prima di analizzare lo scenario, è importante partire da un dato: le temperature medie globali hanno già oggi raggiunto un aumento di 1,1 °C rispetto all’era preindustriale. Inoltre, si registra con preoccupazione che gli impegni presi dai Governi di tutto il mondo prima della COP26 non siano sufficienti a contenere l’innalzamento della temperatura sotto la soglia critica dell’1,5°C nel medio-lungo periodo. E questo nonostante le proiezioni al 2030 degli andamenti attuali e degli obiettivi prefissati sembrerebbero in linea con la tendenza delineata nello scenario Net Zero Emissions by 2050.
L’AIE ha pubblicato ad ottobre il World Energy Outlook (WEO) 2021, che si pone come obiettivo di analizzare gli impatti degli impegni di riduzione delle emissioni presi finora dai Governi di tutto il mondo e suggerire azioni aggiuntive necessarie a limitare il riscaldamento globale entro la soglia critica di 1,5 °C. Ovvero, i circa 0,5°C che rimangono da salvare per salvarci.
Se ad oggi tutti questi impegni governativi venissero attuati (e per tempo), condurrebbero ad una riduzione del 40% delle emissioni globali di CO2 legate all’energia entro il 2050, ma, nello stesso anno, ad un aumento della temperatura media globale di circa 1,8°C e di circa 2,1 °C nel 2100 sopra i livelli preindustriali. E, peggio ancora, se si ipotizza un andamento del trend a “politiche attuali” nel grafico (quindi meno ambizioso rispetto agli impegni annunciati e più realistico visti i risultati della COP26), le temperature medie globali nel 2100 raggiungerebbero addirittura i +2,6 °C rispetto ai livelli preindustriali.
Aumento della temperatura negli scenari WEO 2021 (°C), 2030-2100

Fonte: dati Agenzia Internazionale dell’Energia, 2021.
Siamo quindi lontani dalle azioni necessarie volte a posizionarsi su una traiettoria in linea con il mantenimento del riscaldamento globale sotto la soglia di 1,5 °C. Urgono azioni prioritarie senza le quali resteremo nel tracciato blu del grafico (se non nero).
Ma quali sono le azioni prioritarie?
- Elettrificazione pulita:
Nel 2020, il settore elettrico ha emesso il 36% di tutte le emissioni legate all’energia, più di qualsiasi altro settore. Questo significa che la decarbonizzazione del mix elettrico, e cioè della decarbonizzazione della generazione stessa dell’energia elettrica, è una delle leve più importanti per salvare il pianeta. In tutto il mondo, il carbone è la più grande fonte di elettricità causando tre quarti delle emissioni di CO2 del settore elettrico. Per poter raggiungere l’obiettivo della decarbonizzazione di questo settore, occorre raddoppiare, rispetto ai piani annunciati, la diffusione del solare e dell’eolico. Ma non basterebbe. Occorrerebbe fermare gli investimenti in nuove centrali a carbone non rinnovate e focalizzarsi sulla riconversione delle esistenti, oltre ad aggiungere una crescita di altra generazione elettrica a basse emissioni, come l’energia idroelettrica, biomassa e geotermia.
È importante far notare che non basta investire solo sulla generazione. Si devono prevedere parallelamente investimenti a valle, ovvero nell’infrastruttura di rete elettrica in grado di gestire i flussi multidirezionali di energia e di tutte le forme di flessibilità del sistema che dovrebbero consentire l’effettiva riduzione delle emissioni (inclusi accumuli e fonti dispacciabili a basse emissioni (ovvero gli impianti di energia elettrica che possono essere utilizzati su richiesta dei gestori della rete elettrica, in base alle esigenze. I loro generatori programmabili possono essere accesi o spenti, oppure possono regolare la propria potenza in base a una richiesta), come idroelettrico, geotermia e bioenergia).
In sintesi, non serve promuovere l’uso dell’energia elettrica per usi finali come il trasporto e il riscaldamento se non si pensa parallelamente alla generazione pulita dell’energia stessa. Perché?
La domanda di elettricità aumenta di quasi il 30% al 2030 e di quasi l’80% al 2050 come conseguenza degli sforzi per elettrificare il trasporto su strada, il riscaldamento in edifici e i processi industriali.
Quindi, se per soddisfare questo crescente fabbisogno, continuiamo a generare energia con impianti obsoleti, a carbone non rinnovato, a olio combustibile (il gas è un fossile importante – previsto negli accordi della COP21 – per la fase di transizione ma che deve essere destinato a diminuire ed essere usato a sostegno per le intermittenze), non raggiungeremo mai gli obiettivi del contenimento del riscaldamento globale.
La trasformazione della domanda di energia e la sua elettrificazione, per determinare risultati virtuosi sotto il profilo dell’impatto ambientale deve accompagnarsi ad un significativo, se non radicale, cambiamento della generazione di elettricità.
Evoluzione del mix di generazione elettrica nei diversi scenari IEA (TWh)

Fonte: dati IEA, WEO2021
Come possiamo vedere nel grafico, nello scenario Zero Net Emissions by 2050, solare ed eolico si contendono – rispettivamente con il 33% e il 35% sul totale della generazione elettrica – il primato di fonti principali, seguiti dall’idroelettrico con il 12%: per ottenere tale risultato la capacità di generazione per il solare dovrebbe passare dal 9% attuale rispetto al totale della generazione elettrica al 43% al 2050, mentre per l’eolico si dovrebbe passare sempre dal 9% al 25% del totale.
- Efficienza energetica: Questo strumento è prima di tutto volto a rallentare la domanda di servizi energetici attraverso, ad esempio, la scelta di materiali più efficienti e il cambiamento comportamentale. Nello scenario Net Zero Emissions by 2050, è necessario che l’intensità energetica dell’economia globale diminuisca di oltre il 4% all’anno tra il 2020 e il 2030, più del doppio del tasso medio registrato nel decennio precedente. Bisogna cambiare culturalmente il comportamento di tutti perché la cultura è l’ultima cosa che rimane quando dimentichiamo tutto.
Ma non basta.
- Prevenzione delle perdite di metano dalle operazioni con i combustibili fossili
Le emissioni totali di metano (climalterante importante) contribuiscono a circa il 30% dell’incremento globale della temperatura e il settore energetico è una delle maggiori fonti di emissioni di metano come è emerso anche dalle decisioni della COP26. Secondo le proiezioni dello scenario Net Zero Emissions by 2050, queste emissioni da tutte le operazioni con combustibili fossili dovrebbero diminuire di circa il 75% tra il 2020 e il 2030.
Come si fa a mitigare questo fenomeno? Esistono diversi metodi e tecnologie a questo proposito, come i requisiti di rilevamento e riparazione delle perdite. Il divieto di flaring e venting non di emergenza (in parole più semplici, le torce degli impianti devono bruciare ed emettere fumi di combustione solo per emergenza e cioè quando per allarmi o emergenze negli impianti, si rende necessario fare uno shut-down e quindi fermare l’impianto e convogliare verso le torce i fluidi), tasse sulle emissioni abilitate, sistemi di misurazione e di verifica più robusti.
- Innovazione nel campo dell’energia rinnovabile
Quasi la metà delle riduzioni di emissioni ottenute nello Scenario Net Zero Emissions by 2050 provengono da tecnologie attualmente allo stadio dimostrativo o di prototipo, particolarmente necessarie per decarbonizzare i settori industriali pesanti e i trasporti a lunga distanza, che difficilmente possono essere oggetto di elettrificazione. L’ultimo strumento fondamentale (il pilastro) è dunque rappresentato dall’innovazione nel campo dell’energia pulita, in aree tecnologiche chiave quali le batterie di stoccaggio avanzate, i carburanti a basso contenuto di carbonio, gli elettrolizzatori di idrogeno e la cattura, l’utilizzo, lo stoccaggio e il riciclaggio dell’anidride carbonica.
L’innovazione richiede investimenti fino a quasi 4 trilioni di dollari all’anno entro il 2030. Circa il 70% della spesa aggiuntiva è necessaria nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo. Perché non si può pensare di investire solo nei paesi del primo mondo. La lotta al cambiamento climatico deve essere globale perché il cambiamento climatico colpisce tutti ed è una delle cause della migrazione dei popoli spinti da deforestazione, siccità, cartestia, ecc.
Questi investimenti non saranno a carico dei governi o al settore pubblico. Infatti, La maggior parte dovranno essere effettuati da attori privati che rispondono ai segnali di mercato ma soprattutto alle politiche stabilite dai governi, i cui investimenti dovranno quindi essere incentivati dalle istituzioni finanziarie pubbliche.
Rispetto agli scenari appena descritti e al loro effettivo impatto sulla lotta ai cambiamenti climatici, si pongono ulteriori interrogativi al di là della volontà politica di implementare le misure richieste. Allo stato attuale delle tecnologie, il concreto processo di elettrificazione e del mix energetico deve necessariamente interfacciarsi con la pressione che questo modello di sviluppo esercita sull’ambiente in termini di domanda di materie prime e di materiali critici come litio, cobalto, nichel, rame e terre rare. Ma anche in termini sociali e di rispetto della dignità dei lavoratori. Solo a titolo di esempio, per coprire i fabbisogni relativi all’espansione dell’elettrificazione nella mobilità e nello stoccaggio dell’energia nella sola Unione Europea, la domanda di litio è attesa crescere di 7-18 volte nel 2030 e di 16-57 volte nel 2050, mentre quella di cobalto di 2-5 volte nel 2030 e di 3-15 volte nel 2050.
I risultati della COP26 restituiscono un quadro a luci ed ombre. Un risultato positivo è sicuramente rappresentato dal fatto che per la prima volta è stata citata la necessità di ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili. Anche se questo obiettivo è ridimensionato rispetto all’iniziale necessità di eliminazione degli stessi. Inoltre, non sono stati annunciati nuovi piani di riduzione delle emissioni da parte dei paesi presenti, i quali saranno chiamati a discuterli nuovamente l’anno prossimo. Anche se alcuni paesi come la Cina e l’India hanno dichiarato la neutralità non prima del 2070. O come l’Arabia Saudita che ha, oggettivamente, i mezzi finanziari per investire nella transizione climatica, che si è rifiutata di cambiare alcunché in barba alla New Renaissance di Renziana memoria.
Ma qual è il nesso tra la COP26 e il caro bollette? Il gas che è l’unico fossile ammesso nel mix energetico concordato nella COP21 come fossile di transizione. E anche al 2050, una piccola quota dell’oro blu è ancora prevista come back-up per le intermittenze. È chiaro che la transizione, essendo transizione, non può prevedere uno switch immediato da una fonte ad un’altra. Inoltre, sia l’Europa che l’Italia sono legati al gas sia come fonte di energia, sia come sorgente della fonte. La mancanza totale di strategia sia per diversificare la provenienza del gas (Russia, Algeria, Libia, Olanda, LNG, ecc.), che la fonte stessa, quindi investimenti per le fonti alternative e rinnovabili, ci mette in condizione di subalternità totale e nella posizione di dover correre a trovare rimedi urgenti (a mettere delle pezze) sui rincari delle bollette come succede oggi o quando il gas è mancato dalla Russia, via Ucraina, qualche anno fa.
L’importanza di agire per contrastare il cambiamento climatico (e i suoi effetti, già oggi evidenti) è sotto gli occhi di tutti e non è più rimandabile. Gli elementi per costruire la strada verso una società carbon neutral sono stati definiti e sono chiari: è il momento di agire con tempestività e coraggio per lasciare in eredità alle future generazioni un mondo vivibile e sostenibile.
La pianificazione strategica è d’obbligo. Procrastinare anche la pianificazione significa procrastinare l’intenzione stessa di combattere l’emergenza climatica.
L’obiettivo 1,5° non è impossibile, ma richiede un cambiamento di paradigma radicale: scelte tecnologiche, di investimento e di modello politico energetico, un’analisi precisa con conseguenze di tipo settoriale ed economico-sociale che dovrebbero essere attentamente affrontate nella fase di transizione.
È anche il momento di avere la volontà politica di farlo. Perché non basta proclamare “la svolta green” o destinare pochi soldi del PNRR alle tematiche ambientali. Perché qui il tema non è ambientale ma è la sopravvivenza del nostro pianeta e quindi delle future generazioni.
“We’ve Sensed It. We’ve Seen the Signs. Now… It’s Happening” (cit. film “E venne il giorno”)