Secondo Thomas Piketty, la buona notizia delle elezioni europee appena trascorse è che sembra che i cittadini europei, in particolare francesi, tedeschi, si stiano occupando di tematiche ambientali anche se le campagne elettorali hanno dato poco rilievo al dibattito sul clima. Si chiede con quali forze politiche intendono governare gli ambientalisti.
Mentre la prima parte del discorso di Thomas è vera. I partiti Verdi europei hanno compiuto notevoli passi in avanti in quasi tutto il continente (tranne che in Italia) provocando una vera e propria “onda verde”.
In Germania, “Die Grünen“ sono balzati al secondo posto con il 20% dei consensi, battendo nettamente i socialdemocratici. In Francia, il partito dei Verdi sono terzi, dietro l’estrema destra (Rassemblement National) di Marine Le Pen e il partito centrista (En Marche!) del presidente Emmanuel Macron, ottenendo circa il 13% dei voti.
La seconda parte della sua dichiarazione provoca un po’ di perplessità. Perché i partiti verdi dovrebbero scegliere con chi governare, prendendo il rischio che siano i loro voti e non i loro valori, a fare gola ai popolari o ai socialdemocratici? (Lasciamo da parte i nazional-populisti che non hanno tra le loro priorità queste tematiche e sono caratterizzati da una certa inerzia politica su tutto ciò che immigrazione non è).
L’onda verde è innegabilmente cresciuta ed è destinata a farlo ancora perché spinta da un motore propulsivo chiamato Giovani. I giovani credono nelle tematiche ambientali e questo perché hanno colto in modo naturale che il loro futuro (formazione, ricerca, lavoro e opportunità) dipende strettamente da una politica radicalmente cambiata e che metta al centro la sostenibilità.
I giovani non votano ideologicamente ma idealmente. E le tematiche ambientali, per loro, sono un ideale.
Se i verdi iniziassero a ragionare in termini di alleanze, perderebbero immediatamente la loro credibilità. Credibilità costruita in tanti anni di lavoro. Come ha fatto Grünen, lavorando su una piattaforma che è andata oltre il Green New Deal. Ovvero un programma progressista che toccava tantissimi tematiche compresa l’immigrazione e l’integrazione. Hanno adottato un approccio multi-layer.
I verdi, se vogliono raggiungere il loro obiettivo, affrontare seriamente la sfida climatica e far in modo che il parlamento europeo e gli stati europei lo facciano, devono diventare l’ago della bilancia. Una qualunque alleanza politicamente tattica potrebbe vanificare la loro battaglia costruita in anni.
L’agreement di Parigi – non rispettato – per contenere il riscaldamento globale entro il grado e mezzo, è un tema che deve toccare, per essere efficace, anche la giustizia sociale mondiale. Il caos climatico non colpisce solo i paesi iper-industrializzati ma, in modo perverso, anche i paesi più a Sud del mondo. Quelli sfruttati dagli stati “estrattivisti” del primo mondo. Non si può quindi affrontare lo sviluppo sostenibile, la guerra al riscaldamento globale, il recupero dell’ecosistema, ragionando in termini di alleanze in parlamento.
I verdi in Europa sono già pronti. Saranno i socialisti, per la loro natura progressista, a dover affrontare la ricostruzione del sistema politico. Un sistema politico che metta al centro la giustizia sociale, trasformare l’economia in un sistema più giusto ed equo, la crescita sostenibile, il sistema lavoro, la comunità stessa dei lavoratori abbandonati dai governi nella loro corsa all’accumulo di risorse e di ricchezza, e saranno i socialisti a dover inventare un sistema economico che non si basi più sull’eccesso di accumulo e di estrazione. Ma sull’equilibrio tra efficienza (puntando sull’innovazione, la ricerca, la rigenerazione, consumare le risorse con intelligenza e trasformare il rifiuto in risorsa) e sufficienza (ridurre la domanda per rendere giusto il consumo).
La cultura nella quale siamo stati immersi è quella che assimila il pianeta come un’infinita fonte di beni, un’enorme riserva senza limiti. Il super-consumismo, la globalizzazione spinta e i mega ricavi da produzione non hanno un limite e spingono il processo di produzione ed estrazione fino ad inghiottire sistematicamente la terra e chi ci abita.
Il super-consumismo e l’eccessiva estrazione spingono a considerare tutte le risorse naturali infinite e portano a separarle dal loro ambiente senza riflettere sull’impatto che questa estrazione può avere sul processo di rigenerazione della risorsa stessa. Esaurita la risorsa, il piano di abbandono non prevede un investimento per la rigenerazione del sito di estrazione e quindi dell’ambiente e della terra depredati. Ma gli investimenti sono destinati ad altri siti da depredare. Esiste un unico obiettivo che è far crescere il consumo e quindi l’offerta e incrementare il ricavo. E questo, escludendo le fasce più fragili ma anche le generazioni future dalla fruizione della risorsa stessa.
Bisogna quindi scegliere tra sostenibilità/giustizia sociale e distruzione. Perché ora abbiamo capito che le crisi economiche e climatiche sono democratiche e colpiscono più o meno indistintamente tutti. Direttamente (calamità naturali, riduzione delle risorse, distruzione dell’ecosistema) e indirettamente. Le conseguenze indirette sono tante. Il caos climatico provoca il movimento dei popoli spinti dalla desertificazione, dalle guerre, dalla povertà dovuta all’eccessiva produzione di risorse da esportare, dalla corruzione. Questi popoli arrivano alle nostre porte e, devono essere gestiti. Non possiamo semplicemente chiudere le porte. L’Europa è stata storicamente coinvolta, con le colonizzazioni, ad incoraggiare l’inquinamento aggressivo e l’estrazione spinta delle risorse naturali e umane dei paesi colonizzati. L’Europa deve, quindi, essere in prima linea nella battaglia ecologica e sociale. Le risorse devono essere ridistribuite per riabilitare le popolazioni colpite e sfruttate, proteggerle dalle calamità naturali e, garantire un aiuto dignitoso ai rifugiati climatici. Ridare dignità ai popoli che hanno subito per primi le scelte dettate dalla iper-finanziarizzazione del primo mondo. Le calamità naturali non si fermano ai confini.
Quindi, anche la risposta al caos climatico deve essere democratica ed inclusiva. La transizione ecologica non può essere top-down ma bottom-up. Tutti i cittadini e ovunque, devono essere coinvolti, inclusi e messi in condizione anche di decidere. Per coinvolgere tutti i cittadini, occorre informarli e far capire quali sono tutte le opportunità che si celano nella transizione ecologica in termini di creazione di lavoro dignitoso per tutti, di rafforzamento dell’uguaglianza, di benessere, di qualità della vita e di prospettive per i giovani. La vera transizione ecologica deve colpire le barriere sociali e sradicare le discriminazioni.
Questo è il vero Green New Deal. Una reale trasformazione dell’approccio politico. Non basta solo piantare alberi o aumentare i pannelli solari. Serve attuare cambiamenti radicali del pensiero politico. Un pensiero responsabile e lungimirante. Una nuova etica ecologica e sociale che riconosca a tutti un valore intrinseco.
La politica deve cambiare paradigma, deve essere trasformista per creare prosperità, andare oltre le piccole riforme di short-term e proporre una trasformazione strutturale e di ampio respiro. Un grande investimento per il futuro e una grande opportunità per iniziare a sensibilizzare i cittadini a partecipare a questa trasformazione.
Questo deve fare il Partito Democratico. Elaborare una strategia di crescita organica e non per linea esterna.
Non pensare ad alleanze (effimere) per catturare segmenti di un asse che passa dal centro destra alla sinistra per un mero conteggio di voti, non pensare ad attrarre gli elettori sommando simboli e corteggiando leader dei simboli, ma cambiare radicalmente il suo DNA mantenendo inalterati i valori che contraddistinguono i partiti di sinistra e trasformandosi in un partito a vocazione ambientalista e sostenibile. Scrivere il suo Green New Deal con un piano strategico industriale sostenibile, sociale ed economico.
Il PD deve dimostrare di essere credibili e di voler creare ed occupare quello spazio comune con i Verdi dove entrambe le realtà politiche possono convergere e collaborare.
Il PD non deve concentrarsi sul confronto del peso di ogni corrente e del loro relativo mini congresso, non deve concentrarsi sul confronto delle proposte di alleanze fatte dai suoi dirigenti, non deve cedere alla tentazione del tormentone estivo dal titolo “Surfing from right to left” da far invidiare i Beach Boys con la loro famosa Surfin USA, ma dedicare tempo e energia all’elaborazione di un vero e proprio piano di “attacco alla Kamchatka” per occupare lo spazio ancora vuoto in Italia.
È l’unica opportunità che ha.