Nel 2005, Timothy Garton Ash scriveva di come l’uragano Katrina avesse cancellato la civiltà e diceva: “Il grande insegnamento di Katrina non riguarda la grande negligenza nei riguardi dei neri poveri in America, o la nostra impreparazione a fronte di grandi disastri naturali, benché siano tutti argomenti pertinenti. Il grande insegnamento di Katrina è che la crosta di civiltà su cui camminiamo è sempre sottile come un’ostia. Una scossa e cadi giù, lottando con le unghie e coi denti per salvarti”
Spesso si pensa, guardando immagini o filmati di caos e panico, che possa accadere solo nei paesi lontani. Quella volta, si pensava che la civiltà a New Orleans fosse fragile e si pensava che in Europa non sarebbe successo mai. Poi, è bastata una crisi, un virus e nel giro di pochissimo tempo, siamo tornati ad uno stato primitivo del Bellum omnium contra omnes (la guerra di tutti contro tutti). Lo stato di natura in cui una persona veniva mossa dal suo istinto primitivo per cercare di danneggiare gli altri e di eliminare chiunque fosse di ostacolo al raggiungimento dei propri obiettivi o desideri. In assenza di regole esiste solo il diritto di una persona su qualunque altra cosa. Il prossimo è visto come un nemico.
Voltaire diceva che la civiltà non ha cancellato la barbarie, l’ha perfezionata e resa più crudele e barbara. E così, assistiamo quotidianamente ad un processo inverso: la decivilizzazione e la sottile crosta di civiltà sulla quale ci muoviamo. Ed in materia di decivilizzazione, non è un segreto e negarlo non aiuterebbe a contrastarlo, Salvini è un maestro. Sa stuzzicare la pancia di una fetta della popolazione per svegliare gli istinti più funesti ed identificare i colpevoli del suo attacco di turno.
Con il Corona Virus ha architettato diabolicamente un doppio piano: al cittadino, già decivilizzato in precedenza, regala un piccolo nemico con gli occhi a mandorla, un asiatico da picchiare al supermercato con pugni in faccia o al bar spaccandogli la bottiglia in testa. Parallelamente, Salvini si occupa di distruggere lo Stato in un momento di crisi che richiamerebbe – in un paese civile – l’unità, l’unione, la compostezza per tornare velocemente alla normalità.
Salvini, in una fase decrescente di consenso, ha bisogno di una carcassa sulla quale scagliarsi come ogni necrofago e lo Stato, anche se non è moribondo, rappresenta per lui il bersaglio ideale da colpevolizzare. Parla di un governo che affonda, incapace, nel pantano e si propone come salvatore. In realtà, Salvini vorrebbe affondare lui stesso lo Stato per poter tornare a regnare sulle sue macerie. Ma lui non è una fenice né tantomeno arabo.
Ha pianificato, fin dal paziente uno, un’azione congiunta con i suoi fidi governatori del Nord per destabilizzare il paese passando per la Lombardia e il Veneto. Litigi con il Governo, indecisioni e incertezze comunicate durante le conferenze stampa andate in scena al limite dell’imbarazzo, fino ad arrivare a dirette Facebook andate in mondovisione con l’imbarazzante governatore lombardo che si mette – pure male – un’inutile mascherina e quello veneto che usa il peggiore dei cliché stereotipati per offendere una nazione intera. L’ultimo atto di questa messa in scena vergognosa la compie Salvini salendo al colle per parlare della sua difficoltà di fare campagna elettorale per l’incapacità del Governo nazionale. Tenta il golpe, la spallata, in perfetto stile sovranista.
Non abbandona l’ambizione dei pieni poteri e provoca, in modo irresponsabile, comportamenti che destabilizzano i cittadini più fragili, incrementano inquietudini e attitudini decivilizzate, provocano danni alle piccole e medie imprese, ai commercianti e all’economia del nostro paese.
Allo sciacallaggio di Salvini e della Lega, si aggiungono le solite polemiche tipiche provinciali nostrane tra chi ne sa di più, chi deve tacere anche se si chiama Burioni, chi non può vivere senza le luci della ribalta, chi deve far parlare di sé ogni giorno – dall’alto del suo 3% – di referendum passati e di varie amenità ostentando ancora una volta uno spiccato narcisismo patologico e prestandosi così alla spallata di Salvini.
Nel 2005, la città di New Orleans ci ha fatto capire quanto è difficile mantenerci in equilibrio su quella crosta. In termini politici, potevamo considerare Katrina un appello a fare sul serio nell’affrontare situazioni complicate, perché la responsabilità politica impone compostezza e serietà per affrontare l’impatto negativo che provoca questa emergenza sanitaria sull’economia e sui cittadini e per pianificare una ripresa rapida alla normalità. Ma in termini politici, la responsabilità imporrebbe anche di trovare una cura a questa ferita sociale ed investire per la costruzione strutturale della crosta di civiltà sulla quale ci muoviamo sempre in bilico. Questa è la sfida più grande e più lungimirante per il nostro paese. Chi la porterà a termine, chi penserà davvero alla coesione sociale e alla vera responsabilità politica per costruire una civiltà solida, si sarà garantito il vero consenso.
Quando andremo alle urne, dovremo ricordare l’irresponsabilità, la scompostezza e la spregiudicatezza di alcuni politici che non hanno esitato a cavalcare una crisi nazionale per incrementare la loro visibilità e accelerare il loro arrivo al traguardo: il potere. Questo traguardo, glielo dobbiamo distruggere. Pezzo per pezzo. Ne va della nostra