Zygmunt Bauman – ne “La società sotto assedio – diceva che le porte possono anche essere sbarrate, ma il problema non si risolverà, per quanto massicci possano essere i lucchetti. Lucchetti e catenacci non possono certo domare o indebolire le forze che causano l’emigrazione; possono contribuire a occultare i problemi alla vista e alla mente, ma non a farli scomparire.
Gli esseri umani lasciano il posto che amano, le loro case, i loro punti di riferimento, la loro storia, la loro cultura, gli amici, la famiglia perché sono distrutte dall’angoscia di una morte certa. Una morte spesso violenta. Distrutte dall’angoscia di sopravvivere ai propri figli. Distrutte dall’angoscia di non poter garantire sicurezza, cibo, futuro ai propri figli. Angosciate per la paura di non poter garantire la vita così come la natura ha previsto. Diamo vita e garantiamo la sopravvivenza.
Gli esseri umani che lasciano i propri paesi non hanno alcuna certezza su ciò che li attende ma lo fanno per la piccola, minuscola, infinitesimale speranza di avere una possibilità.
I rifugiati non sono un pericolo ma in pericolo.
Oggi gli stranieri vengono in occidente e sanno che forse i loro sforzi, per integrarsi, lavorare, avere un tetto e del cibo per i figli, potrebbero essere inutili. Sanno che qualcuno può venire in un giorno a godere nel vederli affogare o a distruggere la costruzione paziente e meticolosa della vita. Ma lo fanno perché sanno che, forse, questa volta può essere quella buona. Lo fanno perché sperano che in questo mondo storto, forse, anche per loro, una quota di giustizia li spetta.
Sta a noi pensare alla giustizia umana e sociale. Sta a noi lavorare per non perdere la nostra umanità e quella del mondo. Sta a noi indignarci perché le scene che vediamo in questa foto non possa più succedere, né in Ungheria, né in Slovenia, né in Turchia, Né negli USA.
Ma soprattutto, sta a noi lavorare per fare in modo che vicino a casa nostra, in Libia, non ci sia più il luogo che rappresenta la vergogna dei nuovi anni 20