“Cadesti a terra senza un lamento e ti accorgesti in un solo momento che la tua vita finiva quel giorno e non ci sarebbe stato ritorno”
Oggi mi veniva in mente questa canzone mentre ti salutavamo.
Non uso mai il mio blog per motivi personali ma oggi faccio uno strappo alla regola. Perché il dolore che provo, è il dolore di una vasta comunità. Una comunità di ragazzini, di ragazzi, di adulti, di credenti, di anarchici, di atei, di grandi sportivi, di grandissimi pigri, di comunisti e tutti antifascisti. Perché tu, prima di tutto, suddividevi il mondo in fascisti e antifascisti. E questa, era la prima cosa che avevamo in comune lui ed io.
Oggi, ti abbiamo accompagnato. Oggi, ti abbiamo salutato. Oggi, anche se non avresti voluto vederci così, abbiamo pianto di dolore. Un dolore profondo. Una lacerazione.
Perché questo lacerazione? Perché ti abbiamo dato per scontato. Perché ti pensavamo eterno e, in fin dei conti, lo sei. Eterno per chi ti ha conosciuto.
Perché uno come te, non può mica morire. Uno come te è immortale. E in fin dei conti, lo sei. Immortale per coloro che tu hai accudito. Ed erano tanti. Eravamo tanti.
Oggi sono venuta a darti l’ultimo saluto in pubblico con la maglietta di Che Guevara perché mi chiamavi “comunista di merda”. Ho voluto essere irriverente e dissacrante come sei sempre stato tu con me. Ho pianto sulla tua bara e immaginavo la tua reazione burbera.
Passano i giorni, passano le ore e io mi chiedo che tipo di rapporto è stato il nostro. Tu sei sempre stato presente. Quando ti chiamavo e ti chiedevo di andare a pranzo, a cena o a fare un aperitivo, tu sapevi che ti volevo parlare. A volte di politica. A volte dei miei tormenti. A volte perché ero preoccupata per te quando al telefono mi dicevi “sono stanco”. Ci mandavamo sonoramente a quel paese ed è stata l’ultima cosa che ci siamo detti. Ma sapevamo, te ed io, che quel mandarsi a quel paese non aveva nessun significato. Sapevamo entrambi che c’eravamo. Io lo sapevo. E tu rispondevi sempre “cosa vuoi?”.
Oggi guardavo il dolore delle persone. Era il dolore dell’addio.
Oggi guardavo anche il dolore – straziante – dei ragazzi e quel dolore lì lo conosco. È un dolore che da giovani non riusciamo ad elaborare. Non riusciamo a capire. Non riusciamo ad accettare. Riconosco quel dolore sul volto dei ragazzi dalla tuta blu che si abbracciavano, piangendo, tra di loro e che abbracciavano tuo figlio Francesco. Lo riconosco. È il dolore di quando ti strappano un pezzo di viscere mentre hai le difese abbassate. Quel dolore lo riconosco. I pensieri ricorrenti sono e saranno “nulla sarà più come prima senza di te”. Eri il pilastro. Il punto di riferimento imprescindibile. Ed è facile immaginare che senza il pilastro crolli tutto. Ma questo, lo possiamo dire noi adulti. Nulla sarà più come prima senza di te. Nulla.
Ma a voi ragazzi, che oggi avete affrontato un momento durissimo della vostra vita, per alcuni di voi, potrebbe essere anche il primo durissimo momento della vita, a voi io dico che, se davvero Lorenzo è stato un pilastro, un punto di riferimento, un padre perché accudiva ognuno di voi allo stesso modo, perché non lasciava nessuno solo, nessuno indietro, perché riusciva a capire immediatamente un turbamento, un dolore, un’ansia, un panico, perché con il suo modo senza filtri e spesso scurrile vi spronava a reagire, perché amava ognuno di voi, perché aveva questa capacità divina di ricordare il nome di tutti voi e di ricordare tutto di ognuno di voi. Se è vero tutto questo, se lo pensate davvero, allora Lorenzo sarà eterno. Lorenzo sarà immortale. E come diceva suo figlio oggi, quello che lui ha seminato in voi, germoglia già da adesso. Perché il vostro dolore oggi era la consapevolezza che lo strappo servirà per lasciare vivere Lorenzo dentro di voi.
Ogni volta che sarete accanto al più vulnerabile, ogni volta che aiuterete un amico compagno in difficoltà, ogni volta che accenderete i vostri sensi per capire che un vostro compagno ha bisogno, ogni volta che vi girerete per verificare se indietro non avete lasciato nessuno, ogni volta che darete senza chiedere nulla, ogni volta che saprete chiedere scusa, ogni volta che guarderete negli occhi un amico e, senza dire nulla, fargli capire che avete capito e che ci siete. Tutte queste volte, Lorenzo sarà vivo. E ogni volta saprete che siete voi a mantenere accesa la sua fiamma.
Quando meno ve l’aspetterete, Lorenzo busserà sulla vostra spalla e lo sentirete dire “cosa fai, coglione?”.
Ve lo dice una persona che ha vissuto una lacerazione e ha sempre tenuto la fiamma accesa.
Questo è stato Lorenzo per me. Ci vedevamo poco e ci sentivamo meno.
Ma lui c’era.
Sempre.
Ciao Lorenzo