Come sempre, dal 1995, arriva il 21 gennaio e quando arriva, verso le 8 del mattino, si riapre il baratro. Quella faglia, sempre presente dentro di me, si fa violentemente più larga e lascia lo spazio alla fuoriuscita del fuoco. Un fuoco che devasta tutto e che lascia macerie per un anno intero. Fino al successivo 21 gennaio e cosi fino alla fine dei tempi. Un fuoco che lascia dolore fisico che ogni anno, metto nero su bianco. Perché il dolore che ho provato quel 21 gennaio 1995, non lo potrò mai scordare. Perché non si scorda quando, violentemente, ti strappano via un pezzo di viscere. E lo faccio, ricordo, come per punirmi, pensando che rivivere il dolore sia come non dimenticarlo mai. Anche se, in realtà, non lo dimentico mai. Perché è un trauma insuperabile. E perché non si dimentica così facilmente un uomo che ha fatto la storia.
È così per me ed è così per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di averlo avuto vicino, di essere stati protetti da lui, amati da lui, difesi da lui, incalzati da lui, anche per coloro che si sono scontrati con lui per divergenze di vedute o di metodo (cosa non rara visto il carattere che aveva), di averlo solo frequentato per un po’ o per un periodo più lungo, di averci lavorato, di avere condiviso con lui ideali e battaglie. Di essersi ispirati al suo coraggio e alla sua posizione di non scendere mai a compromessi svendendo i suoi valori. Mai. “Fino alla morte”.
Non aveva paura di nulla. Era temerario, coraggioso, incosciente a volte. Aveva dentro di sé il fuoco sacro degli Dei. Ed era un grandissimo rompicoglioni. Aveva intuizione, visione. Amava il suo paese più di ogni cosa al mondo. Ma il suo amore per i diritti umani, la libertà e la democrazia era ancora più grande. Sognava un’Algeria all’altezza delle sue intrinseche potenzialità e bellezze. Sognava un’Algeria libera e prospera. Sognava un’Algeria democratica e di sinistra come era di sinistra la forza dal basso che l’ha liberata dal colonialismo. Come è di sinistra la forza giovanile di oggi che ha, per un anno intero, tenuto in ostaggio un governo illegittimo, il popolo del Hirak. Come era il suo credo politico: di sinistra e quello dell’intera famiglia. Eravamo tutti di sinistra e avremo difeso questo valore – perché è un valore – sempre.
Per questo ha vissuto tutta la sua vita. Per difendere i vulnerabili, per difendere la libertà, per difendere l’autodeterminazione del suo paese, delle donne e delle minoranze. Per difendere l’onestà contro le corruzioni. Ha vissuto per inculcare in noi questo senso di giustizia e di equità. Per lasciarci un’eredità. Ci ha insegnato a non svenderci mai, avvisandoci che così non si ottiene mai nulla di tangibile, né soldi né poltrone, ma credibilità agli occhi dei più vulnerabili – che è quello che ti fa entrare nella storia – e che provoca preoccupazione a chi detiene il potere e i pieni poteri. Ci ha insegnato questo e noi, nel nostro piccolissimo, cerchiamo di essere degni del suo insegnamento. Ogni giorno della nostra vita.
Papà, i suoi fratelli e sorelle, la famiglia Haraigue, “i figli della tedesca” come venivano chiamati durante la guerra di liberazione dell’Algeria contro il colonialismo francese, hanno dedicato la loro intera vita – infanzia di miseria, adolescenza rubata, gioventù torturata, imprigionata e condannata a morte, la loro vita adulta – tutta la loro vita a difendere questi valori con coraggio. Con il coraggio degli eroi inconsapevoli.
Papà non aveva paura perché aveva vissuto l’orrore della guerra. Perché portava già le cicatrici delle torture sul corpo, nel cuore e nella testa. Perché a lui avevano già tolto il sonno notturno nel braccio della morte in prigione. Perché aveva già visto la morte e le mutilazioni. Non aveva paura perché se, da adolescente, aveva preso le armi per liberare il suo paese, da adulto non si sarebbe mai nascosto contro la violenza della fratellanza musulmana, dell’oscurantismo e anche della dittatura di un regime. Aveva intuizione e, in tempi non sospetti e cioè anni prima, sapeva che “quelli” o “i selvaggi”, come li chiamava lui, sarebbero arrivati e avrebbero devastato tutto. Dai nostri valori alla nostra spensieratezza in nome di un delirio collettivo chiamato Dio. Sapeva individuare le minacce e vedeva le derive totalitarie prima degli altri. E così ci organizzava, ci insegnava, ci aiutava. Ha difeso più di tutto le donne contro la riforma del “codice della famiglia” voluto dagli integralisti che cancellava diritti e dignità. Spingeva, quasi violentemente, le ragazze a studiare e a praticare sport senza paura. Odiava la società patriarcale e amava la bella vita. Non sopportava, quindi, una visione del mondo retrograda e non sopportava nemmeno l’idea di un regime che si instaurava con la giustificazione dell’integralismo.
Quando il terrorismo è arrivato, lui era pronto. Era pronto da sempre. Era pronto anche a morire e non avrebbe mai chinato la testa.
E così è morto. Ucciso con tre pallottole nel cuore in nome di un dio che era ed è solo il loro. In nome di una religione che era ed è solo la loro. In nome di un pericolo che era ed è solo nella loro testa. In nome di una visione del mondo che ci voleva portare al medioevo. E questo ci ha lasciato papà – chiamato affettuosamente in dialetto “Ssi Rachid” (Signor Rachid) – una radicale ed indistruttibile posizione contro chi vuole farci vivere come vogliono loro. Contro chi vuole portare il mondo indietro. Contro chi calpesta i diritti umani. Contro chi non ha dignità né etica. Contro chi si svende e svende i propri principi. Che sia nel paese a cui apparteniamo o in altre parti del mondo. Perché come diceva Che Guevara che lui citava ogni tanto: “Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia, commessa contro chiunque, in qualsiasi parte del mondo. È la qualità più bella di un buon rivoluzionario”. E papà era un grande rivoluzionario.
Era pronto a morire per il suo paese da quando è nato. E così è morto. Per il suo paese. Ma mentre gli altri, i vili, i bastardi entrano nella categoria generica “terroristi” oppure “dittatori” ma anche i “traditori”, lui ha avuto ciò che in pochi possono avere: l’immortalità della storia.
Lui è immortale e voi siete solo dei pezzi di merda che a me avete tolto il padre. A volte mi dico che lo avrei preferito meno eroe e più vivo. Ma poi ci penso e so che la mia intera vita non sarebbe stata la stessa se lui fosse stato normale. Che non sarebbe stata così bella. Così intensa. Che non mi avrebbe portato ad essere ciò che sono, nel bene e nel male. Che non sarei stata così coraggiosa, così passionale e così libera.
Perché nel mio piccolissimo, cerco di essere sempre fedele ai nostri valori, all’etica e ai nostri ideali. Perché sono di sinistra come lo è stato lui e lo sono stati i suoi fratelli e sorelle che cantavano l’Internazionale in tedesco. Fosse solo per non tradire la fiducia che poneva in me. L’insegnamento che mi ha lasciato.
E per lo sconfinato amore che mi ha dato.