Domani è il 25 novembre e, come ogni anno, si celebrerà la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Domani – ma in realtà già da oggi – tutti i giornali parleranno di questo, con tanti Hashtag, tanti flashmob e tanti bei discorsi. Le amministrazioni mostreranno i dati dell’ultimo anno relativi sia alla denuncia della violenza stessa che delle attività che sono state svolte per contrastarla, si inaugureranno le panchine rosse, si faranno dei selfie e si dichiarerà ancora che siamo contro. E ci mancherebbe pure.
La violenza sulle donne è un flagello mondiale. Così è stata chiamata dalle Nazioni Unite nel 1993 quando hanno votato la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne definendola così: “Qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata”. Una barbarie che cresce in modo esponenziale in tutto il mondo, una delle tante violazioni dei diritti umani, è il radicamento di un rapporto tra esseri umani che ha condotto gli uomini – ma spesso anche le donne stesse – a prevaricare e discriminare le donne, una costrizione sociale che porta le donne a vivere in una posizione subordinata rispetto agli uomini.
Non si può più considerarla solo un fenomeno dei paesi lontani, di gruppi talebani o comunità conservatrici tradizionali religiose e non. No. Cresce in tutto il mondo e l’occidente, quello della cultura democratica e paladina dei diritti umani, non è da meno.
Secondo i dati Istat 2019, muore una donna ogni 8 minuti. Il 31,5% delle donne tra i 16 e 70 anni (6 milioni 788mila) nel corso della loro vita ha subito violenza fisica o sessuale e i responsabili sono molto spesso mariti, fidanzati, ex, parenti o amici. Una donna su tre, nel mondo, subisce violenze. Una su tre, significa che tra i nostri amici e parenti, nella nostra bolla, ci sono donne che subiscono e non denunciano. La violenza sulle donne non è solo l’aggressione fisica ma include anche vessazioni psicologiche, ricatti economici, minacce, violenze e persecuzioni di vario genere, fino a sfociare nella forma estrema e drammatica del femminicidio.
La libertà delle donne passa attraverso la loro autodeterminazione. E l’autodeterminazione passa dall’indipendenza economica, dallo studio, dal lavoro. Dal 4 novembre di quest’anno, le donne lavorano gratis. Perché in base alla differenza salariale con le buste paga dei colleghi uomini – che è di circa il 16% in meno secondo una media europea – il resto dei giorni lavorati (circa 39) non sono retribuiti. Il 4 novembre è un giorno tristemente noto in Europa come l’Equal Pay Day. Le aziende che hanno promosso la diversity e hanno combattuto per garantire pari dignità ed opportunità di genere, mostrano risultati economico-finanziari sopra le aspettative. Quelle quotate in borsa registrano trend positivi. Allora perché la nostra società, che si dice moderna e progressista, non si batte seriamente per raggiungere questo obiettivo? Perché ogni politico propone questo punto nel suo programma elettorale citando i paesi del nord come riferimento per poi non fare nulla concretamente se non parlarne nelle aule? Perché non si combatte la dispersione scolastica, in particolare quella femminile, per costruire un futuro migliore ed equo rispetto a quello che oggi viviamo?
La libertà delle donne passa attraverso la loro autodeterminazione. E l’autodeterminazione passa dall’emancipazione. Le donne devono avere la libertà di vestirsi, di truccarsi, di uscire a qualunque ora del giorno e della notte, di fumare, di bere un cocktail o più di uno, di andare a ballare, di mettersi in topless, di mandare video e foto intimi al partner senza dover subire un revenge porn, e, successivamente, una gogna mediatica fino ad arrivare al licenziamento. La donna è vittima, non colpevole. Il revenge porn è un altro flagello che colpisce due donne al giorno. Due donne che potrebbero tranquillamente finire nel ciclone delle chat delle “mamme” o quelle “calcetto scapoli contro ammogliati”, fino a finire sui giornali.
La liberta delle donne passa attraverso la loro autodeterminazione. E l’autodeterminazione passa dalla libertà di sposarsi o no, di fare figli o no, di amare un uomo, una donna od entrambi, di decidere di ricorrere alla fecondazione eterologa, di ricorrere alla GPA, di adottare un bambino da single, di interrompere una gravidanza, di fare le corna senza essere una puttana. La libertà delle donne è non accettare che una categoria precisa della società le etichetti o le cataloghi per una qualsiasi decisione presa nella vita privata. La libertà delle donne significa libertà delle donne e non è subordinata o soggetta all’approvazione di nessuno. Che questi siano religiosi, laici, o “arci qualcosa”.
La libertà delle donne significa battersi fino allo sfinimento perché una legge come quella proposta da Alessandro Zan (che introduce nuovi reati, istituisce la giornata nazionale contro la discriminazione e stabilisce la creazione dei centri di tutela delle vittime). Perché è una legge che protegge e difende chiunque dalla violenza. Punisce chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione, chi istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza. Alcune donne invece, dall’alto del loro credo, decidono di non votare o di votare contro questa legge (o mozioni comunali relative a questa legge) per la paura della teoria del gender nelle scuole. Donne che affossano le donne.
Viviamo una società priva di empatia e di tolleranza. Viviamo una società basata sull’apparire e sulla bellezza, una società di lustrini e paillettes, una società che promuove il culto del corpo femminile ma che condanna ogni donna che subisce una vessazione o una violenza. Viviamo una società che non ammette che una donna sia vittima e la porta a subire una gogna medievale di insulti e di sputi. Viviamo una società maschilista che giustifica – anche nei media – il carnefice dandogli una scappatoia: era ubriaco, la amava, ha avuto un raptus, lei lo tradiva, era un genio affaticato e così via.
Viviamo una società che vede politici come Salvini gettare al popolo in delirio il corpo di giovani ragazze, giornalisti come Vittorio Feltri che da dell’ingenua ad una vittima, comici come Beppe Grillo che lancia un sondaggio sul web contro Laura Boldrini. Il tutto bellamente pubblicato sui giornali e sui social. Anche dai media.
Quando avremo politici, giornalisti, artisti e intellettuali che si rifiuteranno di pubblicare cose oscene, di opporsi contro ogni tipo di violenza con tutti i loro mezzi, fino a scioperare, quel giorno, le prime pagine dei giornali sulla giornata mondiale contro la violenza sulle donne, assumeranno un significato vero. E dovremmo vivere sperando che una giornata mondiale di questo tipo non debba mai più essere celebrata.
“Sotto accusa era un film interessante perché parlava della questione della responsabilità. Non tanto di chi è responsabile della violenza, che non era il fulcro della questione. Ma di chi guardava, di chi ha permesso che succedesse e di chi proteggeva i colpevoli. È un film interessante perché pone la domanda su che cosa è la responsabilità sociale di un fatto.” – (Jodie Foster)